Pubblicato in 2020, Le notizie del portale a buon diritto il 14 ott, 2020

Verità e giustizia per Aldo Bianzino

Verità e giustizia per Aldo Bianzino | A Buon Diritto Onlus

Il 12 ottobre 2007 Aldo Bianzino e la sua compagna Roberta Radici subiscono una perquisizione nella loro abitazione vicino Perugia. Nel giardino di casa le forze dell'ordine trovano qualche pianta di marijuana che Bianzino dichiara subito essere per uso personale. Sia lui sia Roberta vengono portati in carcere e due giorni dopo Aldo viene trovato privo di vita nella sua cella. 

Il giorno del decesso Roberta Radici viene chiamata a colloquio dal viceispettore del carcere che non la informa della morte del compagno ma le domanda a lungo se Aldo soffrisse di svenimenti, problemi di salute o avesse patologie pregresse. Nel rispondere di no Radici chiede preoccupata dello stato di salute di Aldo e il dirigente risponde che è stato portato in ospedale, intubato e che gli è stata fatta una lavanda gastrica. Dopo il colloquio Roberta viene riportata in cella e alcune ore dopo viene scarcerata. Prima di lasciare il carcere incontra di nuovo il viceispettore e domanda quando potrà rivedere il suo compagno. La risposta è lapidaria: “Martedì, dopo l’autopsia”. 

È con questa modalità che Roberta viene informata della morte di Aldo. E questa stessa modalità troppo spesso è stata utilizzata anche in altre vicende di abusi da parte delle forze dell'ordine ed è una delle cose che più ci colpì quando iniziammo a seguire la storia di Aldo Bianzino. 

In un primo momento la morte di Aldo fu imputata a un aneurisma che l'avrebbe colpito mentre era nella cella d’isolamento. Ma la presenza dell’aneurisma apparve fin da subito dubbia, in particolare perché una prima perizia eseguita da un medico legale di parte rilevò sul cadavere ematomi cerebrali e danni al fegato incompatibili con un semplice malore. L’ipotesi del medico fu quella di un pestaggio eseguito con tecniche "militari" solitamente utilizzate per danneggiare gli organi vitali senza lasciare tracce visibili sul corpo. Ma la Procura non accolse questa ricostruzione e nel 2009 archiviò l’indagine per omicidio. Nel 2015 un agente di polizia penitenziaria è stato condannato in via definitiva a un anno di carcere per omissione di soccorso. 

Nuovi esami hanno fatto emergere che le lesioni al fegato e al cervello sono avvenute mentre Aldo Bianzino era ancora vivo e che i traumi sono stati provocati da qualcuno, il che non coincide con la ricostruzione fatta durante il processo e con la versione della morte naturale. Per questo nell'aprile 2018 il figlio di Aldo e Roberta, Rudra Bianzino, insieme ai suoi avvocati ha deciso di depositare presso la procura di Perugia la richiesta di riapertura del caso. Contemporaneamente Rudra ha lanciato una petizione su Avaaz.org per chiedere, oltre alla riapertura del processo, l'istituzione di una Commissione di inchiesta parlamentare sui casi di abusi da parte delle forze dell’ordine nel nostro paese.

Per dare risonanza a queste nuove indagini e per ascoltare la testimonianza di Rudra, dei suoi avvocati e dei medici legali nel maggio 2018 abbiamo organizzato al Senato una conferenza stampa, che è possibile riascoltare integralmente qui: https://bit.ly/3nJMwIK.

Dopo 13 anni non si è ancora giunti ad ottenere verità e giustizia per Aldo Bianzino e per la sua famiglia. Non vogliamo in alcun modo che su questa vicenda cali il silenzio, e per questo continueremo a lottare e a fare testimonianza fino a quando ce ne sarà bisogno, con la consapevolezza che un cittadino posto sotto la custodia dello Stato debba rappresentare per lo Stato stesso il bene più prezioso. Che quando lo Stato, i suoi apparati, i suoi uomini si rivelano non solo incapaci di tutelare l'integrità e l'incolumità di quel cittadino ma sono sospettabili di aver collaborato alla sua morte l'intero Stato di diritto entra in crisi.

Senza i familiari delle vittime, senza la loro tenacia e la loro capacità di fare del proprio dolore più intimo e della propria sofferenza privata una questione pubblica molti di questi casi sarebbero caduti nel silenzio. Rudra, come Patrizia Aldrovandi, Ilaria Cucchi, Lucia Uva, Grazia Serra, Andrea e Guido Magherini e tante e tanti altri hanno dato un contributo fondamentale al rafforzamento di quello Stato di diritto che nel nostro paese troppo spesso ha conosciuto e ancora oggi conosce momenti di debolezza e di crisi. 

Non possiamo lasciarli soli, perché stanno combattendo una battaglia che riguarda anche tutte e tutti noi.