Pubblicato in 2020, Le notizie del portale a buon diritto il 10 apr, 2020

Il naufrago e il crocierista

Il naufrago e il crocierista | A Buon Diritto Onlus

Un articolo di Luigi Manconi su la Repubblica del 10 aprile 2020


Di fronte all’insidia più brutalmente interclassista e interetnica mai conosciuta nell’ultimo secolo, davvero qualcuno può pensare di salvarsi da solo? Ovvero presidiando i confini, salvaguardando le barriere delle classi sociali, selezionando gli ingressi secondo parametri di censo o criteri demografici o di nazionalità? Davvero si può ignorare a tal punto la lezione impartita dalla ruvida materialità delle cose, dei respiri che mancano e dei corpi che soffocano?  Il rischio è che, da questa quarantena, non si esca più consapevoli, come tutti ci auguriamo, o addirittura “migliori” come vorrebbero gli ottimisti più ilari, bensì più depressi: più inclini, cioè, a comportamenti regressivi e a soluzioni mediocri. Il decreto dei quattro ministri che nega lo sbarco alla ONG Alan Kurdi, carica di naufraghi, in quanto l’Italia non disporrebbe di un porto sicuro a causa del Covid 19, può essere letto come una cupa parabola sui tempi che corrono. O alla luce di quei versi del pastore luterano Martin Niemöller, dove si racconta come non ci si accorga delle persecuzioni contro le minoranze fino a quando, a venire perseguitata, non è la minoranza cui si appartiene.

Ebbene, quanto può essere efficace e persuasiva la nostra richiesta di solidarietà all’Europa - posta oggi finalmente nei termini più determinati - se, allo stesso tempo, non siamo disposti ad accogliere la domanda di soccorso proveniente dagli ultimi della terra? Quelli che, nel numero di 150 (centocinquanta), chiedono aiuto per sfuggire al contagio del virus e ai carnefici libici. Se l’Italia facesse il suo dovere, di fronte a quella parte così gretta dell’Europa avrebbe l’autorevolezza morale, e anche l’autorità giuridica, di chi si assume la responsabilità di tutelare quanti sono possibili vittime di contagio e, al contempo, possibili portatori di contagio. E’ incredibile che una simile evidenza venga semplicemente ignorata, così come sfugge che la necessità di ridurre significativamente la popolazione detenuta non discende da un moto del cuore, bensì da un calcolo razionale. Ovvero dalla minaccia per la salute pubblica rappresentata da quel luogo di promiscuità coatta e senza scampo che è la prigione. 

Non solo. “Penso a tutti i luoghi che accolgono minori, anziani, senza dimora, rifugiati, persone con dipendenze, disabilità e problemi psichici”, ha detto Don Colmegna, presidente della Casa della carità di Milano, chiedendo “interventi urgenti” per evitare che quelle strutture diventino altrettanti “nuovi focolai”, come già le residenze per gli anziani. In altre parole, tanto più nelle circostanze in cui è in gioco la vita umana e saltano i tradizionali presidi e gli ordinari meccanismi della sicurezza collettiva, allora, la solidarietà è nient’altro che la cura intelligente dei beni comuni. E’ l’interesse condiviso di una comunità chiamata a integrare le sue stratificazioni interne, a limitare le sue diseguaglianze e a tutelare le sue aree più vulnerabili. E’ ciò che chiamiamo “altruismo interessato”: ossia la consapevolezza, che preoccuparsi dei naufraghi significa, né più né meno, che preoccuparsi della salute pubblica e della stabilità della nostra organizzazione sociale. O forse qualcuno pensa che sia meglio che i migranti sbarchino, nottetempo, a piccoli gruppi, disperdendosi poi all’interno delle sacche di marginalità dei centri urbani o degli insediamenti informali nelle campagne? Come si vede non c’entra in alcun modo il buonismo, parolaccia indecente, cui ricorrono ormai solo gli analfabeti ideologici. 

Qui stiamo parlando, in primo luogo, di politiche della salute e di strategie finalizzate al rafforzamento della coesione sociale, mai come in questo momento messe a repentaglio dai sovranismi delle piccole patrie e degli interessi piccini, dei capipopolo senza popolo e della “invenzione della tradizione”. Il governo e, in particolare, il ministro Lamorgese, hanno finora seguito una strada assai diversa da quella del precedente titolare del Viminale e hanno ottenuto, così, successi e consensi. Perché, invece, in questa circostanza, fare intendere che si nutra, una sorta di complesso di inferiorità nei confronti di Salvini, un leader sgualcito e ammaccato e in evidente crisi di identità? 

Ancora: nel comunicato dei quattro ministri si trova scritto che la decisione di negare lo sbarco già era stata assunta nei confronti delle navi da crociera. Ma, Sant’Iddio, possibile che ancora si sottovaluti il senso e il peso delle parole? Possibile che nessuno abbia fatto notare che quella “crociera” richiama alla “pacchia” evocata da Salvini? Ministri così attenti alla comunicazione dovrebbero pur sapere che “le parole costruiscono il mondo” (lo hanno detto tanti, da Ludwig Wittgenstein a Nanni Moretti): e che mondo è mai quello dove si suggerisce una qualche somiglianza tra un naufrago e un crocierista?