Pubblicato in 2020, Le notizie del portale a buon diritto il 26 mar, 2020

Gli ultimi dell'agricoltura

Gli ultimi dell'agricoltura | A Buon Diritto Onlus

Un articolo di Luigi Manconi su La Repubblica del 26 marzo 2020


Tra la moltitudine di parole nuove o desuete (pensate: quarantena!) che l'emergenza del Covid-19 ha introdotto nel nostro vocabolario quotidiano, si trova una formula ripetuta con particolare frequenza: la filiera agro-alimentare. Non è una novità, certo, ma finora veniva evocata solo nei convegni della Coldiretti o della Confagricoltura o nei sempre più disincantati piani economici per lo sviluppo del Meridione. Oggi, quella locuzione, unitamente alla filiera farmaceutico-sanitaria, sembra rappresentare il primo fronte di resistenza contro gli effetti distruttivi del virus e il fondamento di una produzione indispensabile alla sopravvivenza di un sistema economico, pur gravemente ammaccato. La filiera agro-alimentare, per i cittadini, ha il volto del fruttivendolo o del pizzicagnolo, magari col matitone dietro l'orecchio per fare i conti, al banco del negozio all'angolo o, più spesso, all'interno di un supermercato.

Ma chi c'è dall'altra parte? Chi c'è là dove la filiera prende le mosse: dove, cioè, parte la catena che, attraverso un lungo tragitto, porta gli alimenti dalla campagna al piatto del consumatore? C'è un gran numero di lavoratori che raccolgono i prodotti della terra o mungono le vacche o pascolano bovini e ovini. Di oltre un milione e centomila addetti al settore agricolo, circa il 35% è costituito da stranieri. Questi sono i regolari: esiste, poi, un'amplissima area di lavoro nero, sottopagato e super sfruttato, che produce situazioni di estrema marginalità; e quegli insediamenti informali che da oltre trent'anni vedono ripetersi atroci tragedie.

Cosa succederà ora? Il blocco delle frontiere impedirà l'arrivo in Italia di decine di migliaia di lavoratori stagionali. Parallelamente, è assai probabile che l'epidemia produca l'immersione dei lavoratori irregolari in una più rigida clandestinità, sia per prudenza rispetto al possibile contagio sia per timore di un eccessivo controllo da parte delle forze di polizia. La combinazione di questi due fattori potrebbe determinare la "scomparsa", in un breve arco di tempo, di alcune centinaia di migliaia di lavoratori — è l'opinione della Coldiretti — e incidere per un quarto sulla produzione agro-alimentare italiana. Fino a rendere problematica la fornitura di generi essenziali per il nostro regime nutrizionale.

In questa situazione, o si riaprono le frontiere consentendo il ritorno in Italia degli stagionali oggi bloccati (e forse meno disponibili a recarsi in un Paese così vulnerabile al virus): oppure si deve procedere a una politica di regolarizzazione degli irregolari. Si tratta di un provvedimento urgente, anche perché siamo nel periodo delle raccolte primaverili, dalle fragole e gli asparagi del Veronese, alle pere e i kiwi del Piemonte, ai cavoli e ai broccoli della Puglia. Regolarizzare la maggior parte dei raccoglitori irregolari, sottraendoli alla rete del caporalato, costituirebbe un contributo fondamentale alla tutela di un importante settore dell'economia. È nostro primario interesse, dunque, oltre che cruciale questione di affermazione della legalità.

Non è troppo diversa la problematica relativa al ruolo delle badanti: secondo una stima attendibile, in Italia, sarebbero oltre 900 mila, in massima parte straniere e per metà irregolari. (Ne ha scritto, su questo giornale, Tito Boeri martedì scorso). Nei giorni del "distanziamento sociale" che, per molti anziani e vecchi, costituisce la malinconica anticipazione della "solitudine del morente", la figura di queste collaboratrici domestiche assume un ruolo sempre più significativo e, per certi versi, qualitativamente prezioso. In molte circostanze, da risorsa essenziale del sistema di welfare italiano, queste donne stanno diventando il solo "fattore umano" che accompagna il congedo dalla vita di tante persone, che — con la vita come flusso di relazioni — hanno un rapporto sempre più esile.

Nell'Italia del dopo Covid-19, smarrita e sfibrata, avremo bisogno ancor più di questa risorsa di sensibilità. Dovremo riconoscere a quelle donne il valore della funzione svolta, la dignità del loro lavoro di cura, un'equa retribuzione. Tutto ciò richiede, prioritariamente, la regolarizzazione di quante sono prive di documenti o lavorano in nero. Ed è un provvedimento da adottare subito, perché è questo il momento in cui più si ha bisogno di loro, in una fase di così pesante logoramento del legame sociale. Stiamo parlando, ancora, di una misura, che va a vantaggio della società italiana tutta.

E, tranquillizziamoci, l'emersione dalla clandestinità di molte donne e molti uomini stranieri non rappresenta in alcun modo un pericolo. Al contrario, è un contributo alla sicurezza sociale. Ricordiamo che, quando in Italia non c'era alcuna pandemia, furono i governi Berlusconi-Maroni ad attuare due sanatorie (nel 2002 e nel 2009) che portarono alla regolarizzazione di oltre 900 mila stranieri. E i risultati, guarda un po', furono solo positivi.