Pubblicato in 2016, Le notizie del portale a buon diritto il 09 giu, 2016

La lezione del Baobab al prossimo sindaco di Roma

La lezione del Baobab al prossimo sindaco di Roma | A Buon Diritto Onlus

Huffington Postbaobab4, 9 giugno 2016

Valentina Brinis (A Buon Diritto)

Tra martedì e mercoledì sono state rimosse a Roma alcune delle tende igloo, disposte tra via Cupa e il Verano, utilizzate temporaneamente dai migranti "in transito". Ovvero da chi non vuole rimanere in Italia ma desidera ricongiungersi con i propri familiari e connazionali in un altro paese europeo. La zona non è casuale. Lì, un anno fa, era stato allestito un centro di accoglienza, il Baobab, gestito interamente da volontari che si sono occupati in pochi mesi di oltre 35 mila persone. Lo stabile non era nuovo a questo tipo di utilizzo, infatti da decenni era adibito a ospitare richiedenti asilo e rifugiati provenienti principalmente dall'Eritrea.

La novità riguardava la gestione, interamente autonoma e senza alcun finanziamento. Quello spazio divenne in poco tempo un punto di riferimento proprio per quei migranti in transito a cui, nella maggior parte dei casi, non erano state rilevate le impronte digitali avendo così buone possibilità di allontanarsi e di completare il viaggio. Qualunque traccia di quel transito li avrebbe fatti incappare nel temutissimo Regolamento di Dublino, secondo cui il primo paese europeo di arrivo è quello competente alla domanda di asilo. Ecco perché preferivano rimanere irregolari e tentare quel viaggio. Ma, senza documenti validi, non era possibile accedere agli ordinari centri di accoglienza.

L'esperienza del Baobab, che nel frattempo si è tradotta in un'associazione (Baobab experience), è servita innanzitutto ad accogliere - non senza criticità e difficoltà - quelle persone la cui alternativa sarebbe stata sicuramente ancora più precaria e degradante. La sua importanza, però, è anche un'altra. Ovvero di aver fatto conoscere a migliaia di cittadini chi sono le persone che arrivano nel nostro paese in fuga da guerre e situazioni di povertà estrema. Quel contatto ha permesso una conoscenza diretta delle storie - a volte davvero drammatiche - di alcuni dei migranti contribuendo a infrangere parte dei pregiudizi più diffusi.

Paradossalmente, i migranti del Baobab - gli ultimi tra gli ultimi - erano ben voluti dai cittadini romani e forse più di quelli accolti in altri quartieri della città, in cui magari i progetti di integrazione sono stati ostacolati. Quell'esperienza, dunque, ha suscitato il senso di appartenenza a una comunità che si stava muovendo con un unico obiettivo: sostenere i migranti in una fase del loro percorso.

Con la ripresa degli sbarchi quello spazio informale, chiuso dopo lo sgombero avvenuto a novembre del 2015, si è ricreato con le stesse modalità e con lo stesso obiettivo: accogliere. Le differenze con il passato, però, non mancano. La prima è costituita dall'assenza di una struttura in muratura in cui svolgere quel servizio. La seconda consiste in un diverso stato giuridico dei migranti: sono per lo più persone già passate dagli hotspot e, dunque, in molti casi già identificate e che potrebbero intraprendere la via dell'asilo e dell'accoglienza in Italia. La terza riguarda lo scenario europeo: i confini con l'Austria e con la Francia non sono facilmente superabili da chi non possiede i documenti validi per farlo.

Ecco perché l'intervento delle forze dell'ordine era prevedibile. Come però è prevedibile che, in assenza di una misura istituzionale ad hoc, quell'insediamento si ripopoli. I messaggi politici da cogliere nella vicenda del Baobab sono duplici. Da un lato c'è sicuramente l'esigenza di vedere, interpretare e affrontare il fenomeno dei transitanti (anche quando sedicenti). Un'idea - qui solo abbozzata - potrebbe essere quella di aumentare i posti negli spazi legali già esistenti a Roma e gestiti da organizzazioni con operatori specializzati. Un esempio è quello della Croce Rossa in via del Frantoio.

Dall'altro c'è una grande parte di cittadini che non vedono l'ora di partecipare, di muoversi, di collaborare alla costruzione della città. E proprio questo ultimo aspetto dovrebbe essere il tesoro (neanche troppo nascosto) che la città consegna al futuro sindaco. Chiunque esso sarà.