Pubblicato in 2015, Le notizie del portale a buon diritto il 08 set, 2015

Perché quando parliamo di accoglienza e libera circolazione pensiamo a tutti e (prima di tutto) anche agli italiani

Perché quando parliamo di accoglienza e libera circolazione pensiamo a tutti e (prima di tutto) anche agli italiani | A Buon Diritto Onlus

art fanoli08-09-2015
Lorenzo Fanoli

Non so se la foto di Aylan Kurdy sulla spiaggia di Bodrum, la svolta politica della cancelliera Merkel che , sia pur provvisoriamente, ha messo in mora il regolamento di Dublino sui rifugiati, le catene umane di auto e autobus tra Austria e Ungheria, gli applausi dei cittadini di Monaco di Baviera all’arrivo dei cittadini in fuga dalla guerra di Siria e dal Califfato, e le risposte civili di decine di migliaia di europei abbiano in questi giorni determinato una risacca – spero irrefrenabile – della diffusione di opinioni fascio-leghiste riguardo a immigrazione e diritto d’asilo. Non so se in queste settimane si è manifestata finalmente una Europa maggioritaria e civile capace di empatia e di ospitalità e che possa essersi avviato un processo politico culturale diverso da quello che sembrava montante e consolidato dell’isolamento egoista spaventato e feroce nella fortezza Europa da parte dei suoi cittadini “nativi”.

Non lo so e non credo che ci siano evidenze empiriche che possano permettere di sostenere un’affermazione di questo segno.

E’ tuttavia bene ricordare e considerare, che vi sono dei motivi profondi e strutturali che rendono catastrofiche e insostenibili politiche inospitali e segregative come reazione alla libera circolazione di uomini e donne sul globo, e che, forse, questi motivi profondi prima o poi agiscono nel determinare le giuste reazioni e nella generazione dei necessari anticorpi sociali.

L’immagine della morte di un piccolo bambino su una spiaggia del Mediterraneo non suscita solo compassione e dolore ma mette tutti noi di fronte alla concreta prospettiva della nostra fine , del nostro decadimento morale e fisico e della resa di fronte alla catastrofe della guerra e delle barbarie etniche e religiose.

L’alternativa che ci si propone in tutta evidenza è SE POSSIAMO CONTINUARE A VIVERE DA ASSEDIATI E CIRCONDATI DA UN MONDO IN GUERRA (ANCHE CONTRO DI NOI) oppure SE RIUSCIAMO A RENDERE IL MONDO CHE CI CIRCONDA PIÙ SICURO ANCHE ACCOGLIENDO FUGGIASCHI E PROMUOVENDO FUGHE E DISERZIONI DA QUEGLI SCENARI DI MORTE.

Oltre a queste considerazioni ve ne sono altre, non meno importanti, e significative che attengono più al piano della realtà quotidiana e delle persone che vivono lontane da scenari di guerra e che riguardano, direttamente, i motivi e le caratteristiche dei fenomeni migratori nel mondo e, per quanto ci riguarda, soprattutto in Italia.

Innanzitutto e in linea generale diversi studi di economisti e demografi dimostrano che la libera circolazione di uomini e donne sul pianeta determinerebbe una crescita estremamente significativa del reddito mondiale.

http://www.internazionale.it/opinione/nicolo-cavalli/2015/07/03/abolire-frontiere-reddito-mondiale

Se poi si vuole guardare al nostro Paese una qualsiasi personalità politica che abbia l’aspirazione e l’interesse di rappresentare i cittadini italiani e lo loro crescita sociale ed economica , che fosse anche capace di far di conto, sarebbe immediatamente capace di comprendere che l’Italia è sempre stata, e lo è ancora, un paese di migranti.

Le statistiche ufficiali*, infatti, stimano al 2012 in circa quattro milioni il numero di italiani residenti all’estero, la metà dei quali all’interno dell’unione europea.
Secondo il dossier statistico sugli italiani all’estero dell’istituto IDOS (di cui sono stati anticipati alcuni risultati il 15 luglio 2015) tale cifra sarebbe cresciuta fino a 4,5 milioni nel 2015.

Il numero degli italiani all’estero è molto simile a quello degli stranieri residenti in Italia che sono circa 5 milioni (dei quali il 50% proviene da paesi europei).

In entrambi i casi andrebbe aggiunta una notevole quota di “sommerso” e di migrazione “informale” di dimensioni analoghe in per gli stranieri in Italia e per gli italiani all’estero.

Ciò che deve farci riflettere ulteriormente e attentamente riguarda due aspetti che l’articolo qui linkato http://www.nytimes.com/2015/03/10/opinion/embracing-the-other-italy.html?nytmobile=0_r=0

ci aiuta a comprendere:

• che una buona parte dell’emigrazione italiane riguarda giovani in cerca di condizioni economiche e lavorative migliori rispetto a quelle che troverebbero nel nostro paese;
• che i percorsi e le scelte di emigrazione sono prevalentemente di carattere informale, che iniziano magari con visti turistici e che poi si consolidano nei luoghi in cui i nostri concittadini trovano condizioni di vita considerate da loro soddisfacenti (siano esse a Berlino o a San Jose sul lago di Atitlan in Guatemala) e prescindono da decreti flussi o diavolerie analoghe;
• che in molti casi l’emigrazione degli italiani si realizza attraverso percorsi di autoimprenditorialità, lavoro autonomo e, almeno per un primo periodo, fuori dalle regole formalizzate.

Queste tre condizioni determinerebbero, secondo la normativa (fascio-leghista, visti i nomi dei suoi firmatari) vigente nel nostro Paese una condizione di illegalità perseguibile penalmente.

In sostanza dei quattro milioni di Italiani residenti all’estero, se fossero trattati con una legge sull’immigrazione simile a quella vigente in Italia forse almeno un milione (se non molti di più qualora alle dichiarazioni del proprio ministro dell’interno Theresa May, la Gran Bretagna facesse seguire norme e politiche conseguenti) potrebbero essere etichettati come “clandestini” secondo il lessico Salvinian-Melloniano e passibili di espulsione.

Fortunatamente i fascio-leghisti continuano ad essere nel mondo una minoranza rumorosa e, comunque, i fenomeni e i processi della convivenza umana agiscono indipendentemente dalle regole definite da governanti ungheresi e Ministri degli Interni anglosassoni, altrimenti ci troveremmo a dover affrontare la grave emergenza di un flusso di profughi italiani verso l’Italia decisamente più drammatica rispetto a quelle che stiamo affrontando in questi anni.

*Istat Indagine conoscitiva sulle politiche relative ai cittadini italiani residenti all'estero (13 giugno 2012)