Pubblicato in 2015, Le notizie del portale a buon diritto il 15 ott, 2015

Fratelli d'Italia

Fratelli d'Italia | A Buon Diritto Onlus

cittadinanza 1Unità 15/10/2015
Luigi Manconi, Valentina Brinis

È indubbio che, con l'approvazione in prima lettura della nuova legge sulla cittadinanza, un notevole passo avanti è stato compiuto. È altrettanto indubbio che la normativa presenta alcune incongruenze e qualche limite e, soprattutto, c'è da augurarsi che il Senato non introduca modifiche peggiorative in seconda lettura. Ma, alla domanda secca: è una legge che migliora o peggiora la condizione dell'immigrazione straniera in Italia?, la risposta è un chiarissimo sì, la migliora. In presenza degli attuali rapporti di forza - culturali ancor prima che politici - questo testo va decisamente apprezzato. E, infatti, la normativa sullo ius soli temperato prevede la possibilità di richiedere la cittadinanza per il minorenne figlio di genitori stranieri, almeno uno dei quali regolarmente residente e titolare del permesso di soggiorno con scadenza illimitata. E dispone, inoltre, che possa diventare italiano chi, prima dei dodici anni, abbia frequentato la scuola per almeno un quinquennio. La richiesta va presentata, entro il compimento della maggiore età, all'ufficiale dello stato civile del comune di residenza, con il consenso del genitore o di chi eserciti la responsabilità genitoriale.

L'importanza di questa innovazione è confermata da una proiezione, realizzata da una ricerca della Fondazione Leone Moressa, secondo la quale saranno circa seicentomila le persone interessate da questa riforma. Lo si deduce tenendo conto del fatto che "circa il 65% delle madri straniere risiede nel nostro Paese da più di cinque anni"; e che 177.525 alunni nati all’estero hanno già completato 5 anni di scuola in Italia. Se questi fattori non subiranno variazioni, nasceranno ogni anno tra i quaranta e i cinquanta mila nuovi cittadini italiani figli di immigrati e saranno diecimila quelli che lo diventeranno in virtù del percorso scolastico.

Sono dati importanti, elaborati da un istituto di ricerca massimamente attendibile, che indicano quanto l'attuale legge in materia non corrisponda alla reale composizione della società italiana e alle profonde trasformazioni in atto da anni. E quanto si arrivi in ritardo rispetto a processi demografici e culturali che solo una diffusa ottusità politica ha impedito di riconoscere per tempo, producendo gravi danni non solo ai diretti interessati (gli stranieri, appunto), costretti a uno status subalterno, ma anche all'intera collettività nazionale, privata di contributi potenzialmente assai preziosi.

È bene ricordare, infatti, che - fino alla definitiva approvazione della nuova legge - agli stranieri nati qui sono concessi solo dodici mesi, dal diciottesimo al diciannovesimo anno di età, per chiedere di diventare italiani. Quello oggi vigente è, dunque, uno ius soli tanto limitato e circoscritto, angusto e avaro, da imporre una corsa affannosa, e dall'incerto risultato, a quei pochi che tentano l'impresa di avere informazioni e chiedere la cittadinanza entro appena dodici mesi.

Quando questa legge fu approvata, nel 1992, gli stranieri residenti in Italia non raggiungevano il milione e il testo era stato scritto per rispondere innanzitutto a un bisogno, allora assai sentito, di concedere la doppia cittadinanza a quanti erano emigrati in Sud America negli anni passati e che intendevano tornare in Italia. E, a dimostrazione del fatto che la realtà in molti casi sia infinitamente lontana dalla norma astratta, si deve ricordare che la legge ancora precedente risaliva al 1912. Negli ottant’anni che separano quelle due normative molte modifiche sono state introdotte. Tra le altre, quella che ha permesso che la cittadinanza non rimanesse un istituto solo maschile ma si potesse trasmettere anche per via materna.

Ecco perché è importante che una materia come questa sia costantemente aggiornata in modo da risultare la più inclusiva possibile. Negli anni sono stati numerosi i figli di genitori stranieri che non hanno potuto studiare fuori dall'Italia perché il loro permesso di soggiorno non prevedeva una permanenza all'estero per più di tre o sei mesi; e altrettanto numerosi sono coloro che, una volta raggiunti i diciotto anni, non hanno potuto esprimere il proprio voto alle elezioni amministrative e politiche nonostante l'Italia sia di fatto il loro paese; per non parlare di quanti non si sono potuti candidare anche quando possedevano i requisiti per farlo.

La normativa che la Camera ha approvato è stata richiesta per molti anni da più soggetti: associazioni e sindaci, movimenti e partiti, sindacati e campagne di mobilitazione come "l'Italia sono anch'io". E dall'inizio della Legislatura sono stati presentati venti disegni di legge di riforma dell'attuale sistema di cittadinanza. Il testo votato è perfettibile ma ciò non sminuisce il significato di quanto è accaduto. Se anche il Senato farà la sua parte, finalmente, alla cadenza romana - diciamo pure, romanesca - dell'adolescente di una famiglia cinese del quartiere Esquilino corrisponderà un adeguato passaporto.