Pubblicato in 2015, Le notizie del portale a buon diritto il 02 dic, 2015

Due passaporti senza identità sul luogo del delitto

Due passaporti senza identità sul luogo del delitto | A Buon Diritto Onlus

art pag99 21 novPagina 99, 21-11-2015
LUIGI MANCONI eVALENTINA BRINIS

Persone | Confondere terroristi e fuggiaschi è una sciocchezza, prima che un’abiezione. Come dimostrano due storie recenti di documenti, a Tunisi e a Parigi.

Come sempre, come nelle guerre più crudeli e nelle passioni più dirompenti, è tutta una questione di punti di vista. Ovvero chi è che guarda, in quale direzione volge lo sguardo e a chi e a che cosa volta le spalle. Ed è tutta una questione di filosofia morale e di filosofia pratica. E di google maps. In altre parole, per cosa vale la pena vivere e per cosa vale la pena morire; e, poi, da cosa si deve fuggire e dove si può cercare scampo. Se adottiamo un simile punto di vista, il principale nemico del profugo mediorientale è oggi Daesh e, di conseguenza, qualunque identificazione tra un richiedente asilo che giunge in Europa e un potenziale terrorista è, prima che un’abiezione, una sciocchezza. Ma questa sciocchezza ha una perversa diffusione.

All’origine c’è la lettura deformata dello scontro in atto. Che è, evidentemente, nutrito da un potente fattore religioso, ma che non corre né esclusivamente né principalmente lungo la grossolana linea di frattura che viene in genere evidenziata. Ovvero la guerra mortale tra islam e occidente cristiano. Questo campo di conflitto in qualche modo c’è o, comunque, viene rappresentato, ma se risulta esaltato in modo unilaterale rischia di mettere in ombra l’altro campo di massima tensione, quello della guerra per l’egemonia all’interno del mondo islamico. Come dice Amos Oz: «Va compreso che questa, prima che essere una guerra contro l’Europa e l’Occidente, è una guerra interna all’Islam, per il suo cuore».

Tale guerra, che è persino eccedente il classico antagonismo tra sciiti e sunniti, è il principale e più violento push factor dell’esodo di profughi dalla Siria, dall’Iraq e dall’Afghanistan. Certo, nessuno può escludere che tra quelle centinaia di migliaia di persone in rotta vi siano militanti del jihad o individui che lo diventeranno, ma questo fa parte dell’imponderabilità dei destini umani. Ciò che è ponderabile è che non c’è alcuna meccanica corrispondenza tra fuggitivo e kamikaze: e proprio perché l’arte della fuga, dolorosamente appresa, determina una prospettiva che modifica in profondità i progetti del fuggiasco e condiziona la sua stessa personalità. Contribuisce a farne un’altra persona. E quanto quella fuga consente di intravedere, in termini di libertà e di autorealizzazione, appare valere più del premio promesso dal jihad.

In questo quadro, il profugo è colui che prende drammaticamente le distanze da quel conflitto per l’egemonia nel mondo musulmano, che sta rivelando tutto il suo vuoto desolato nel momento stesso in cui esalta la dimensione religiosa e teologica della “guerra santa”. Non a caso la gran parte degli attentatori che si muovono in occidente, opponendo il nichilismo delle armi al presunto nichilismo dei valori, all’occidente appartengono, lì sono nati e lì si sono formati. Il loro percorso sembra esattamente speculare a quello dei profughi. Muovono dalla Gran Bretagna, dalla Francia, dal Belgio (e magari dalla Germania e dall’Italia) per tornare alla terra dei padri, alla sua Tradizione e al suo apparato rituale e identitario. Esattamente da dove i profughi scappano, avendo conosciuto e patito la catastrofe tragica di quel mondo.

Due vicende legate a tortuosi movimenti di individui, documenti e passaporti illuminano in modo paradigmatico questi percorsi di fuga e di ritorno. Tra i primi attentatori di Parigi a essere identificati, c’è Ahmad Al-Mohammad, di cui è stato ritrovato il passaporto siriano. Un’identità tutta da verificare, dal momento che quel documento si trovava accanto a un corpo dilaniato. E quel passaporto racconta la storia di un migrante che, come molti altri (673 mila dall’inizio del 2015) è giunto in Grecia dalla Turchia e da lì, dopo aver attraversato la Macedonia e la Serbia, l’Ungheria e l’Austria, è arrivato in Francia.

In questo itinerario c’è un vuoto sia temporale che geografico. Dall’8 ottobre, data in cui il passaporto viene registrato in Austria, non c’è alcuna traccia del passaggio in altri paesi europei, fino alla notte di venerdì 13 novembre, quando ricompare in uno dei luoghi dell’eccidio di Parigi. Ed è a questo punto che si deve prestare molta attenzione alla ricostruzione dei fatti perché quella qui riportata è la storia del passaporto e non è detto che coincida con quella dell’attentatore. Non sarebbe la prima volta, infatti, che un documento ritrovato in un luogo cruciale narrasse una storia differente da quella del suo presunto proprietario. È accaduto ad Abdel Touil, il giovane marocchino accusato di essere uno dei responsabili dell’attentato al museo del Bardo a Tunisi, dove era stato ritrovato il suo documento. Ma come è stato possibile dal momento che Touil era sbarcato a Lampedusa un mese prima (il 17 febbraio)?

Consideriamo altri elementi. Nei primi giorni di febbraio dal suo cellulare partono delle chiamate a una persona coinvolta nella strage al museo che – come verrà poi verificato – organizzava anche i viaggi illegali via mare verso l’Italia. Quella stessa scheda sim risulta utilizzata a marzo da un altro apparecchio telefonico in una città della Tunisia diversa dalla capitale. Questa serie di fattori ha permesso agli inquirenti italiani di escludere ogni coinvolgimento del giovane marocchino nell’attentato al museo. E di attribuire quell’equivoco alla sprovvedutezza di Touil che, una volta giunto a Milano, aveva denunciato lo smarrimento del passaporto.

Come si vede, mentre si affermano le più sofisticate procedure di riconoscimento biometrico, il ritrovamento di un passaporto è ben lontano dal consentire l’identificazione del suo proprietario. E la sua contraffazione o sottrazione o smercio rendono precario ogni meccanismo di attribuzione di identità. Si può dire, addirittura, che i passaporti sono tra i più efficaci mezzi di travisamento della persona e di suo occultamento, fino alla creazione di una falsa identità e di una esistenza fittizia o, alla lettera, immaginaria. Dunque, ci vogliono nervi saldi e pacata intelligenza: e, quando si muove una moltitudine di essere umani, nemmeno le google maps soccorrono.

Luigi Manconi è docente di sociologia dei fenomeni politici presso l’università Iulm di Milano. Senatore del Partito democratico, è presidente della Commissione per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato. Presiede l’associazione A buon diritto.

Valentina Brinis è ricercatrice presso l’associazione A Buon Diritto.

Manconi e Brinis hanno pubblicato insieme Accogliamoli tutti. Una ragionevole proposta per salvare l’Italia, gli italiani e gli immigrati (Saggiatore, 2013).