Pubblicato in 2022, Le notizie del portale a buon diritto il 11 apr, 2022

Un uomo che muore nelle mani dello Stato riguarda tutti noi

Un uomo che muore nelle mani dello Stato riguarda tutti noi | A Buon Diritto Onlus

Un articolo di Valentina Calderone, direttrice di A Buon Diritto, su Il Riformista del 10 aprile 2022


Dodici anni, cinque mesi e tredici giorni. Questo è il tempo che la giustizia italiana ha impiegato per decretare definitivamente le responsabilità per l’uccisione di Stefano Cucchi. Il geometra romano di trentuno anni che nei primi mesi dopo la sua morte è stato variamente definito, da stampa e personaggi politici, come il “piccolo spacciatore di Tor Pignattara”, “anoressico, tossicodipendente, larva, zombie”. Nessuno potrà più dire adesso che Stefano è morto per colpa della sua magrezza, delle sue abitudini, delle sue debolezze. La sentenza della Corte di Cassazione che ha condannato a 12 anni per omicidio preterintenzionale i due carabinieri responsabili dell’arresto e del trattenimento di Cucchi sancisce la fine di una vicenda giudiziaria incredibilmente lunga e travagliata, con centinaia di udienze, numerose perizie, diversi soggetti imputati e un’attenzione dei media mai vista prima per un caso di abusi da parte delle forze dell’ordine.

Con l’associazione A Buon Diritto abbiamo conosciuto la famiglia Cucchi a una settimana dalla morte di Stefano, e studiando i primi atti d’indagine chiedemmo sin da subito di indagare su quanto accaduto la notte dell’arresto. E invece le indagini sono state dirottate per anni, sviate per spostare l’attenzione dalla caserma di carabinieri all’interno della quale, oggi lo sappiamo con assoluta certezza, Stefano ha incontrato la morte. 

Il processo di primo grado per i depistaggi messi in atto con l’intento di coprire le responsabilità degli operatori si è concluso giovedì scorso con una sentenza di condanna: otto uomini appartenenti all’Arma sono stati ritenuti colpevoli di favoreggiamento, calunnia, falso ideologico. Un’opera complessa di depistaggi durata anni.

Da una parte, quindi, non dovrebbero stupirci questi tredici anni impiegati per arrivare alla verità, dall’altra però, non possiamo non farne tema di riflessione. 

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