Pubblicato in 2022, Le notizie del portale a buon diritto il 28 giu, 2022

L'evaporazione grillina

L'evaporazione grillina | A Buon Diritto Onlus

Dalla rubrica Passaggio a livello di Ubaldo Paciella


Si è consumata, con la scelta del ministro Luigi Di Maio e di altri 61 parlamentari tra deputati e senatori, l’ennesima scissione della storia parlamentare italiana. Non sarà di certo l’ultima, ci sono pochi dubbi che questa sia la più ridicola dell’era repubblicana, sebbene nei decenni scorsi abbiamo assistito ad un proliferare di scomposizioni - forse sarebbe meglio dire di fratture - che hanno irrimediabilmente conseguito un solo risultato: la scomparsa, nel breve volgere di qualche anno, di quanti confidavano su questa scelta per costruire un loro personale orizzonte politico.

Chi, come il sottoscritto è nato a cavallo della metà del secolo scorso, ricorderà il susseguirsi della frammentazione a sinistra, come una faglia sismica in eterno movimento: prima la nascita del Psiup, poi lo sbriciolamento di parte dell’area movimentista legata culturalmente al vecchio partito comunista italiano di Palmiro Togliatti,  di Luigi Longo e infine di Enrico Berlinguer. Questo ha prodotto modelli culturali di una qualche raffinatezza costituitisi attorno al gruppo del Manifesto, poi a Democrazia Proletaria, agli indipendenti di sinistra eletti nelle liste del PCI, sino ad arrivare a tempi più prossimi ai nostri giorni. Questi hanno registrato la parcellizzazione delle componenti estremiste, che ha visto i tanti protagonisti ridursi ad una irrilevanza e marginalità, approdata nella scomparsa di quei volti mediatici da Bertinotti a Cossutta a Rizzo dimenticati dai più, ricordati ormai solo dai pochi frequentatori della storia politica italiana.

Itinerario simile è avvenuto nei decenni che potremmo definire dell’età berlusconiana per la destra, chiamata a misurarsi nelle ambiguità di una riforma istituzionale vagamente maggioritaria, costretta da un claudicante bipolarismo a scegliere tra le parole d’ordine del passato e, una nuova capacità di gestire il consenso. Il vestito grigio potrebbe definire, come una metafora, quella stagione.

L’area moderata, quella iconicamente definita di centro, altro non è stata, dopo il crepuscolo della Democrazia Cristiana, che il sobbollire del movimentismo di piccoli leader legati al territorio, non solo una diaspora, bensì una rincorsa affannosa di nomi e sigle capaci di garantire un seggio, l’ospitalità televisiva in qualche talk show che ha fatto e disfatto le alterne fortune, oscurando il nulla politico celato dietro il personaggio, un nome tra i tanti e non me ne vogliano gli altri: Clemente Mastella.

Molto hanno visto gli scranni del parlamento italiano, mi verrebbe da dire subìto, eppure questo ultimo colpo di teatro li supera tutti nella farsesca dinamica con cui si è consumata la costituzione dei gruppi parlamentari di “Insieme per il futuro”. Tra il rivendicare un europeismo atlantista degli stessi personaggi accorsi a Parigi tra i gilet gialli transalpini, o chi ha sostenuto per anni i grotteschi adagio grillini dell’uno vale uno o della casalinga di Voghera ministro dell’Economia, pericolo scampato di poco, folgorati oggi sulla via della qualità, della competenza, della professionalità. 

Una decisione in verità dovuta alla reale evaporazione del M5S logorato, meglio imploso da troppo tempo per la intrinseca inconsistenza del progetto politico di Beppe Grillo, resa di solare evidenza dalla rovinosa caduta di consensi registrata nelle ultime elezioni amministrative. Una caduta dovuta al distacco nei cittadini dalle tronfie e inutili parole d’ordine  gettate a profusione nelle piazze al solo scopo di titillare gli istinti reconditi di torme di elettori gonfi di astio, rancorosi, frustrati e soprattutto con gravissime lacune persino nel compitare il lessico italiano nella misura più semplice. Nulla a che vedere con le reali necessità sociali ed economiche che richiedono pragmatismo, assunzione di responsabilità, equa ripartizione degli impegni, come dei sacrifici.

Non ci sono vincitori, nell’agone di casa nostra, a modestissimo parere di chi verga queste righe, solo dei vinti.  La dispersione del pulviscolo stellato è la conseguenza dell’onere di governare, di chi è chiamato a scelte decisive per la collettività e si rende conto amaramente di quanto fossero ingenue e false le parole d’ordine brandite per anni.

Il più vinto di tutti è l’avvocato Giuseppe Conte,  orfano inconsolabile del tempo trascorso a Palazzo Chigi in qualità di Presidente del Consiglio di due opposti governi. 

Gli restano, al fu avvocato del popolo, all’uomo del banchetto accanto alla colonna traiana, i cocci frantumati di un movimento già inconsistente, che la sua perfidia rancorosa ha disperso come polvere al vento, rappresentazione icastica del fallimento le recenti elezioni amministrative dove il M5S ha ottenuto una debacle tanto attesa quanto clamorosa. 

L’altra sconfitta dai fatti appare quella parte della segreteria politica del PD che ha sempre guardato all’universo grillino, a Giuseppe Conte in particolare, come una forse unica, stampella alla quale appoggiarsi in vista di un confronto con il centrodestra che vedeva i democratici sicuramente in grande affanno e con consensi significativamente inferiori a quelli del campo avverso. Una scelta ereditata dalla precedente segreteria incompatibile, nell’evidenza dei fatti, con una dichiarata politica atlantica e europea sostenuta convintamente sulla base delle competenze, della concretezza, di una responsabilità che investe il ceto dirigente istituzionale in un momento storicamente così travagliato come in Occidente non si ricorda da oltre 70 anni. Nulla sembra unire il PD al M5S.

 Sarebbe il momento di giocare una nuova partita, in campo aperto senza timori, proponendo la centralità di un progetto politico radicalmente innovativo, improntato a rafforzare il ruolo dell’Italia nel contesto europeo, così come in quello della Nato e del rapporto con gli Stati Uniti. Una strategia visionaria entro la quale costruire la società e l’Italia del futuro, lontana dai fallimenti del passato, in grado di trovare soluzione adeguata alle pressanti richieste di crescita e di sicurezza che vengono da milioni di nostri concittadini. Un programma di scelte che tolgano qualsiasi alibi ai gruppi di interesse, a potentati di ogni genere, in grado di liberare le migliori energie di donne, di giovani e  anziani non logorati dalle frustrazioni. 

Il PD deve trovare il coraggio di liberarsi dall’immanenza del potere, investendo con un supplemento di anima, anche visionario e profetico sul futuro, per costruire una dinamica sociale indispensabile per alimentare la pace tra i popoli, che sempre più sembra sfuggire ai progetti della politica.